Come nasce il Viaggio - Scalinatella

Come nasce il Viaggio - Scalinatella

Dalla fusione tra le parole di Enzo Bonagura e la musica di Giuseppe Cioffi è nato, nel 1948, il racconto di questo amore tradito su una “scalinata stretta stretta e lunga lunga che ha preso la forma di una canzone, Scalinatella appunto. Il luogo esatto al quale corrisponde questa scalinata non è certo, alcuni come Roberto Murolo hanno parlato di Positano, altri di Capri, dove lo stesso Bonagura soggiornava in quell’anno.
Ad aggiungere qualcosa al mito ha provveduto lo stesso Bonagura: “Andavo a casa di Cioffi una sera, a piedi, ero giovane e mi piaceva camminare. Percorrevo via Toledo e tracciavo senza fermarmi delle parole sulla carta, che avevo già, così come mi venivano a mente, un certo suono e una certa cadenza che rendevano più veloce e più cadenzato il mio passo. Giunto a casa dell’amico e sedutomi al suo fianco, ho a più riprese posto quel foglietto accanto al piatto dove egli mangiava. Niente. Finse sempre di non percepire il mio invito a leggere. Finito il pranzo, con calma egli si alzò, sedette al pianoforte e suonò Scalinatella con le stesse note che tutto il mondo oggi conosce. Io non rifeci e non aggiunsi, non sostituii mai alcun verso” [1].

Bonagura, che nacque il 19 aprile del 1900 a San Giuseppe Vesuviano, poi abbandonato insieme al padre vinaio nel 1906 a causa della grande eruzione, scelse una vita bohémien e scapigliata fatta di frequentazioni acculturate quali F.T. Marinetti e Roberto Bracco che lo portò a scrivere oltre mille canzoni. “Non era una novità la tendenza del Bonagura alla vita di bohémien e di scapigliato, né lo era la sua liberalità. Erano anche i tempi in cui egli aveva intrecciato rapporti di amicizia con i maggiori ingegni del tempo, come prova una fotografia nella quale egli compare in un gruppo con Salvatore Di Giacomo, Raffaele Chiurazzi, Libero Bovio, Edoardo Nicolardi, Francesco Buongiovanni ed altri non bene identificati”. In particolare con Di Giacomo, i loro incontri erano ripetuti vertevano tutti sull’affinamento della sua poesia e della sua parlata dialettale.

La sua vita fu caratterizzata da un’estrema produzione, che si spense soltanto a causa della sua malattia che dal 1970 si protrasse per poco meno di dieci anni e lo portò alla morte. Riposa nel cimitero di Ottaviano all’interno della sua cappella di famiglia, come da sue volontà.

Giuseppe Cioffi, di un anno più giovane, era invece originario di Napoli. Anche lui, estremamente prolifico da un punto di vista artistico (scrisse la musica di centinaia di canzoni), muovendo i suoi primi passi all’interno del Conservatorio che cominciò fin da subito a frequentare. Così come i circoli e le periodiche, ai quali partecipava insieme al poeta Enzo Fusco, e dove aveva occasione di presentare le sue prime canzoni.

La prima di queste fu pubblicata nel 1923 con La Partenope, ma ben presto passò a quella che allora era un punto di riferimento: la Casa editrice La Canzonetta. Qui collaborò, oltre che con il sopracitato Bonagura, anche con Fusco, Letico, Canetti, Fiore e soprattutto Gigi Pisano. Pian piano la sua attività si estese dallo scrivere i testi al completo allestimento e organizzazioni di spettacoli musicali ai quali, inoltre, prende parte come direttore d’orchestra.

In particolare, la collaborazione con Pisano lo portò a realizzare “macchiette di nuovo stile e melodie [che] riempioni interi fascicoli de’ La canzonetta e alimentano spettacoli di audizioni”. Questa sinergia tra i due durò per oltre venti anni, dando vita a tutto il repertorio macchiettistico di Nino Taranto e portando anche alla produzione, su tutte, di ‘Na sera ‘e maggio. Lo stesso Cioffi arrivò a fondare una propria casa editrice a suo nome, pubblicando annualmente nuovi brani e organizzando gli spettacoli di Piedigrotta grazie anche alla collaborazione con uno studio di poeti e all’aiuto del figlio Luigi [2].

Un’attività frenetica la loro, che noi abbiamo voluto rappresentare attraverso la sinergia tra il classico blues americano e uno stile più armonico, il Fado portoghese, connubio che genera, quindi, il blues mediterraneo.

Il Fado, ingiustamente considerato fino agli anni ’90 come un genere reazionario tipico dei nostalgici del salazarismo, è talmente caratteristico da aver ottenuto nel 2011 il riconoscimento dell’UNESCO come Patrimonio Immateriale dell’Umanità. Esso deriva dal latino fatum, destino, e secondo molti deve la sua genesi al repertorio dei cantastorie di corte che narravano gli episodi di guerra contro l’invasione dei mori. In queste narrazioni del XVI secolo, però, avvenivano richiami sempre più frequenti alle storie di passione e delusione d’amore, includendo figure popolari come gli artisti di corte, i mendicanti e le prostitute.

Ecco, quindi, che il genere si contamina nella società, ritrovandosi agli inizi del 1800 nel Bairro Alto suonato all’interno di bordelli e taverne della lisboeta come colonna sonora di bevute, risse, accoltellamenti e incontri d’amore tra marinai. La stessa Maria Severa, considerata dai più come la madre del Fado moderno, era anche ella una prostituta. La sua vena popolare, infatti, arriva fino ai giorni nostri, è soprattutto la musica della saudade e quindi dei migranti e altri viaggiatori malinconici, ragion per cui la figura del marinaio con una terra e mille destini (come il viaggiatore NeaCo’) continua ad essere la più calzante tra quelle che compongono l’immaginario iconografico legato al genere. Ed è lo stesso motivo per il quale la prima canzone ufficialmente riconosciuta è il classico Fado do marinheiro, brano del 1840.

Soltanto un secolo dopo questo genere riesce ad evolversi acquisendo una certa complessità melodica e lirica, sostituendo i versi più popolari con delle reali poesie. Tutto ciò trasforma finalmente i fadisti in artisti, e si rispecchia anche nella cultura mainstream dove, a partire dagli anni ’30 e ’40, le sue citazioni e apparizioni diventano sempre più frequenti all’interno del cinema, del teatro e della radio. È la cosiddetta “época de ouro do fado, anni in cui aprono le prime Casas de Fado dove per esibirsi era necessario disporre di unua licenza professionale e di un repertorio approvato alla Comissão de Censura”.

Non potendo esprimere critiche sociali o, addirittura, politiche, il Fado in questo periodo si concentrò particolarmente su temi quali la saudade, le piccole storie del quotidiano e, soprattutto, le pene d’amore. Fu in questo contesto che Amália Rodrigues si prese la scena, diventando, di fatto, la più grande interprete di Fado della storia.

La sua è una storia di umiltà e sacrificio, con una carriera iniziata da giovanissima, nel 1939, al Retiro da Severa, una delle location più apprezzate nella Lisbona dell’epoca. Durante i suoi esordi manteneva comunque il lavoro di fruttivendola di strada, una caratteristica che le impediva di iscriversi a molti concorsi canori ma che non le pregiudicò l’attenzione di numerosi impresari, che le permisero di esordire al cinema in veste di attrice-cantante. Di lì in poi la strada fu tutta in discesa, tanto che al termine della sua carriera poteva vantare la pubblicazione di 170 album e la vendita di 30 milioni di copie. Fu grazie a lei e alle esibizioni nei più grandi palcoscenici mondiali, all’interno dei quali alternava i classici della tradizione portoghese ai riadattamenti dei fados contemporanei, che venne modernizzato il Fado e, finalmente, si raggiunse il livello di world music.

Livello che assunse nuove conferme alla caduta del Regime dittatoriale nel 1974, quando comparvero le prime canzoni impegnate e i primi segni di un rinnovato ottimismo verso il futuro del popolo, che poteva finalmente voltare pagina. In questa epoca di rinnovamento si devono per forza citare tre grandi autori come Zeca Afonso, Carlos Paredes e Sérgio Godinho, musicisti che attivamente gettarono le basi per il pop-rock dell’immediato futuro del Paese.

Oggi, a distanza di quasi mezzo secolo, il Fado “non è solo tornato ad essere l’essenza più pura del popolo portoghese, apprezzato da un pubblico di tutte le età e senza più frontiere culturali, geografiche e stilistiche, ma è anche una delle galline dalle uova d’oro del Turismo de Portugal, che ne ha fatto una delle bandiere del Paese all’estero” [3].

 

[1] Scalinatella - Storia, redazione, Flamenco Tango Neapolis

[2] Enzo Bonagura, Giuseppe Cioffi e la "Scalinatella", Carlo Fedele, Napoliflash24

[3] Storia del Fado, Patrimonio dell'Umanità, Marco Sabatino, Lisbona by italiani.it

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